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Ruggero Gentile

06-04-1936 Fiume
20-12-2013 Gorizia
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Segnato fin dalla nascita da una condizione di svantaggio psicofisico, grazie all’impegno e all’amore della famiglia, ha potuto condividere le gioie e le emozioni della vita, sviluppando anche delle capacità personali non comuni

▶ BIOGRAFIA

L’infanzia e l’adolescenza
Nato a Fiume il 6 aprile del 1936, Ruggero Gentile era il sesto di otto fratelli. I genitori, Luigi e Maria Genovese, avevano lasciato la nativa Barletta per trasferirsi dapprima a Roma, dove era nata Nicoletta, la loro primogenita, e successivamente a Fiume, dove Luigi aveva trovato lavoro presso il porto industriale.
A differenza degli altri fratelli, Ruggero presentava fin dalla nascita una sorta di autismo, che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, e necessitava di cure e vigilanza continua. Questa non si conciliava con il gravoso impegno di mamma Maria, che negli anni successivi alla nascita di Ruggero, partorì ancora Ettore (1938) e Gianni (1939).
Allora, la sorella Carmela, una bambina che aveva da poco chiuso il ciclo delle scuole elementari, trascorreva molto tempo con il piccolo Ruggero e tra i due nacque un rapporto speciale. Mamma Maria aveva posto la culla di Ruggero vicino al letto della piccola Carmelina che, ogni sera, lo prendeva per mano per accompagnarlo al sonno. Via via che il tempo passava quello speciale rapporto si faceva sempre più intenso.
Sia pure con ritardo, Ruggero imparò a comunicare e ad elaborare le capacità del linguaggio che gli consentiva di essere compreso e di interagire con l’esterno. Dimostrava anche delle peculiarità non comuni come una grande capacità mnemonica ed una vera e propria predisposizione, a volte ossessiva, per l’ordine degli oggetti. Riponeva le sue cose, i suoi vestitini, le scarpette, sempre nello stesso modo e nello stesso posto, seguendo una sorta rito.
Era anche capace di orientarsi e di memorizzare i percorsi tra le vie di Fiume che, dalla sua abitazione contigua all’Arco Romano, conducevano alla Torre Civica. Così, a volte capitava che, eludendo la sorveglianza di mamma Maria, uscisse da solo fino a fermarsi all’ombra del monumento, in attesa del rintocco dell’orologio.
Nonostante ciò, dalla scuola, che, a quei tempi, non era strutturata e sensibilizzata per l’inserimento dei giovani portatori di handicap, fu ben presto allontanato e restituito alla mamma Maria.
 
Gli anni bui della guerra, le tragedie familiari e l’esodo da Fiume
Gli anni della guerra coincisero anche con due tragedie familiari: la perdita delle sorelle Maria (15 anni) e di  Emma (10 anni). Il Piccolo Ruggero ne fu particolarmente colpito e ciò indusse la sorella Carmela ad occuparsi di lui in modo ancora più intenso.
A seguito dell’annessione di Fiume alla Jugoslavia, i Gentile, nei primi mesi del 1947, lasciarono la città e si trasferirono al campo profughi situato nel ex convitto Cordellina di Vicenza.
La vita da profughi, l’incertezza per il futuro maturarono nella famiglia Gentile la decisione di emigrare e fu anche in quel contesto che emerse l’impossibilità di ottenere il permesso di emigrazione per il piccolo Ruggero a causa del suo handicap psicofisico. I tempi stringevano e mamma Maria fu costretta ad agire rapidamente, decidendo di affidare Ruggero ad un collegio di Teramo che le era stato indicato. Si trattava di una sorta di orfanotrofio che, nel periodo delle grandi emigrazioni del primo dopoguerra, aveva aperto le sue porte anche a situazioni analoghe.
 
L’emigrazione dei Gentile per gli Stati Uniti d’America
La sorella Carmelina, fidanzatasi con Renato, rimase in Italia in attesa del matrimonio, mentre, insieme ai genitori, alla ricerca del sogno americano, partirono i fratelli Carlo, Ettore e Gianni. E fu proprio Renato che si recò personalmente presso l’orfanotrofio di Teramo per verificare lo stato di accoglienza del ragazzino. Quando si trovò sul posto, constatò una seria precarietà e, soprattutto, una involuzione delle capacità relazionali di Ruggero. Decise così di portarlo via con sé e di ricondurlo a Vicenza, dove Carmela se prese carico.
Dopo il matrimonio di Carmelina e Renato, Ruggero, che ormai li aveva “adottati” come genitori, si trasferì con loro a Tarvisio.
 
Il periodo tarvisiano
Il periodo passato a Tarvisio dal 1954 al 1960, rappresentò per lui un’ulteriore e fondamentale evoluzione personale. Era giunto nella località della Valcanale alla soglia dei vent’anni ancora analfabeta e pareva destinato a rimanerlo a vita. Ma non fu così.
Il tranquillo ambiente familiare, la pazienza e l’impegno costante di Renato che dedicava i dopo cena all’istruzione di base del cognato-figlio, ottennero il risultato che nemmeno la scuola aveva saputo raggiungere. Così, proprio mentre il nipotino Carlo Alberto vedeva la luce nell’aprile del 1955, il neo zio Ruggero era finalmente in grado di leggere e scrivere. Ciò incrementò anche la sua autostima e lo rese sufficientemente autonomo per muoversi da solo tra le stradine di Tarvisio.
Renato, quando poteva, preparava a Ruggero delle liste con i nomi degli animali, degli alberi, di città e di persone. Ruggero aveva imparato a riconoscere le bandiere delle nazioni e conosceva a memoria i nomi delle città capitali che ripeteva al piccolo nipote. Amava recarsi spesso in un bar nei pressi di casa dove si fermava a leggere il giornale e dove era sempre benvoluto e festeggiato.
 
Il ritorno di mamma Maria
Alla fine del ’60 mamma Maria decise di fare ritorno in Italia, si stabilì a Udine e prese con sé Ruggero. Egli dimostrò una buona capacità di adattamento al nuovo ambiente, stingendo amicizie con un gruppo di ragazzi che abitavano nella stessa area urbana. Fu un’altra evoluzione positiva per la sua vita, grazie anche alla disposizione inclusiva dell’ambiente esterno che lo proteggeva e lo stimolava e alla sua capacità di farsi benvolere.
Successivamente mamma Maria si trasferì a Gorizia per raggiungere la famiglia di Carmelina e per Ruggero fu una nuova ed ulteriore evoluzione. Pur se la sua coordinazione motoria era problematica, spesso il nipote Carlo Alberto lo portava con sé e lo faceva partecipare alle partitelle di pallone con gli amichetti nel prato dietro casa e lì Ruggero, con il suo solito colpo di punta, qualche rigorino lo aveva anche segnato.
Gli anni ’70 furono quelli di maggiore autonomia per Ruggero. Usciva ogni giorno da solo ad acquistare il giornale e il pane. La mattina domenica andava a messa e nel pomeriggio andava -  da solo – al cinematografo di Stella Mattutina. Talvolta era necessario andare a riprenderlo perché era capace di fermarsi a guardare 2 o anche 3 proiezioni in sequenza.
Dopo il matrimonio del nipote Carlo Alberto, mamma Maria con Ruggero si riunirono sotto lo stesso tetto assieme a Carmelina e Renato.
La scomparsa della madre, avvenuta nel 1985, lo turbò, ma le cure genitoriali della sorella e del cognato lo ristabilirono.
 
Il “principe” d’America
Nel 1986 e nel 1992, sempre insieme a Carmelina e Renato, fece anche l’esperienza della trasvolata atlantica per riabbracciare i fratelli che si erano trasferiti a Denver.
Di quelle vacanze americane amava menzionare diversi episodi da cui emergeva la grande attenzione e il grande rispetto che tutti, anche gli sconosciuti, gli riservavano. “Gli americani mi facevano come un principe…” – ricordava con orgoglio.
Negli ultimi anni Novanta la salute di Ruggero diveniva sempre più precaria e fu allora che iniziò il processo che, nonostante l’ostinazione delle cure cui veniva sottoposto, lo avrebbe portato gradualmente alla cecità.
La fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila riservò alla famiglia un periodo davvero difficile e infelice, causato dalla incurabile malattia portò Renato alla morte, avvenuta nel maggio del 2001.
Convivendo con il suo dolore, Carmelina continuò ad assistere Ruggero ed anzi, quell’impegno costante la teneva viva, la sorreggeva e ne alimentava le forze che, con l’avanzare dell’età, si assottigliavano.
Anche se le capacità motorie di Ruggero degradavano progressivamente, egli conservava la sua capacità di interagire con l’ambiente. Non potendo più leggere le sue riviste sportive o guardare le partite di calcio in tv, seguiva le cronache sportive e ascoltava le notizie alla radio e continuava a recitare le sue preghiere quotidiane che erano dedicate a tutti i suoi cari.
Nella notte del 20 dicembre 2013 lasciò Carmelina, la sua sorella-madre che, assieme al marito Renato, le aveva dedicato la vita.
 
Riposa nel cimitero centrale di Gorizia, sempre insieme alla "sorella-madre" Carmelina († 2018) e al "cognato-padre" Renato.
 
L’infanzia e l’adolescenza
Nato a Fiume il 6 aprile del 1936, Ruggero Gentile era il sesto di otto fratelli. I genitori, Luigi e Maria Genovese, avevano lasciato la nativa Barletta per trasferirsi dapprima a Roma, dove era nata Nicoletta, la loro primogenita, e successivamente a Fiume, dove Luigi aveva trovato lavoro presso il porto industriale.
A differenza degli altri fratelli, Ruggero presentava fin dalla nascita una sorta di autismo, che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, e necessitava di cure e vigilanza continua. Questa non si conciliava con il gravoso impegno di mamma Maria, che negli anni successivi alla nascita di Ruggero, partorì ancora Ettore (1938) e Gianni (1939).
Allora, la sorella Carmela, una bambina che aveva da poco chiuso il ciclo delle scuole elementari, trascorreva molto tempo con il piccolo Ruggero e tra i due nacque un rapporto speciale. Mamma Maria aveva posto la culla di Ruggero vicino al letto della piccola Carmelina che, ogni sera, lo prendeva per mano per accompagnarlo al sonno. Via via che il tempo passava quello speciale rapporto si faceva sempre più intenso.
Sia pure con ritardo, Ruggero imparò a comunicare e ad elaborare le capacità del linguaggio che gli consentiva di essere compreso e di interagire con l’esterno. Dimostrava anche delle peculiarità non comuni come una grande capacità mnemonica ed una vera e propria predisposizione, a volte ossessiva, per l’ordine degli oggetti. Riponeva le sue cose, i suoi vestitini, le scarpette, sempre nello stesso modo e nello stesso posto, seguendo una sorta rito.
Era anche capace di orientarsi e di memorizzare i percorsi tra le vie di Fiume che, dalla sua abitazione contigua all’Arco Romano, conducevano alla Torre Civica. Così, a volte capitava che, eludendo la sorveglianza di mamma Maria, uscisse da solo fino a fermarsi all’ombra del monumento, in attesa del rintocco dell’orologio.
Nonostante ciò, dalla scuola, che, a quei tempi, non era strutturata e sensibilizzata per l’inserimento dei giovani portatori di handicap, fu ben presto allontanato e restituito alla mamma Maria.
 
Gli anni bui della guerra, le tragedie familiari e l’esodo da Fiume
Gli anni della guerra coincisero anche con due tragedie familiari: la perdita delle sorelle Maria (15 anni) e di  Emma (10 anni). Il Piccolo Ruggero ne fu particolarmente colpito e ciò indusse la sorella Carmela ad occuparsi di lui in modo ancora più intenso.
A seguito dell’annessione di Fiume alla Jugoslavia, i Gentile, nei primi mesi del 1947, lasciarono la città e si trasferirono al campo profughi situato nel ex convitto Cordellina di Vicenza.
La vita da profughi, l’incertezza per il futuro maturarono nella famiglia Gentile la decisione di emigrare e fu anche in quel contesto che emerse l’impossibilità di ottenere il permesso di emigrazione per il piccolo Ruggero a causa del suo handicap psicofisico. I tempi stringevano e mamma Maria fu costretta ad agire rapidamente, decidendo di affidare Ruggero ad un collegio di Teramo che le era stato indicato. Si trattava di una sorta di orfanotrofio che, nel periodo delle grandi emigrazioni del primo dopoguerra, aveva aperto le sue porte anche a situazioni analoghe.
 
L’emigrazione dei Gentile per gli Stati Uniti d’America
La sorella Carmelina, fidanzatasi con Renato, rimase in Italia in attesa del matrimonio, mentre, insieme ai genitori, alla ricerca del sogno americano, partirono i fratelli Carlo, Ettore e Gianni. E fu proprio Renato che si recò personalmente presso l’orfanotrofio di Teramo per verificare lo stato di accoglienza del ragazzino. Quando si trovò sul posto, constatò una seria precarietà e, soprattutto, una involuzione delle capacità relazionali di Ruggero. Decise così di portarlo via con sé e di ricondurlo a Vicenza, dove Carmela se prese carico.
Dopo il matrimonio di Carmelina e Renato, Ruggero, che ormai li aveva “adottati” come genitori, si trasferì con loro a Tarvisio.
 
Il periodo tarvisiano
Il periodo passato a Tarvisio dal 1954 al 1960, rappresentò per lui un’ulteriore e fondamentale evoluzione personale. Era giunto nella località della Valcanale alla soglia dei vent’anni ancora analfabeta e pareva destinato a rimanerlo a vita. Ma non fu così.
Il tranquillo ambiente familiare, la pazienza e l’impegno costante di Renato che dedicava i dopo cena all’istruzione di base del cognato-figlio, ottennero il risultato che nemmeno la scuola aveva saputo raggiungere. Così, proprio mentre il nipotino Carlo Alberto vedeva la luce nell’aprile del 1955, il neo zio Ruggero era finalmente in grado di leggere e scrivere. Ciò incrementò anche la sua autostima e lo rese sufficientemente autonomo per muoversi da solo tra le stradine di Tarvisio.
Renato, quando poteva, preparava a Ruggero delle liste con i nomi degli animali, degli alberi, di città e di persone. Ruggero aveva imparato a riconoscere le bandiere delle nazioni e conosceva a memoria i nomi delle città capitali che ripeteva al piccolo nipote. Amava recarsi spesso in un bar nei pressi di casa dove si fermava a leggere il giornale e dove era sempre benvoluto e festeggiato.
 
Il ritorno di mamma Maria
Alla fine del ’60 mamma Maria decise di fare ritorno in Italia, si stabilì a Udine e prese con sé Ruggero. Egli dimostrò una buona capacità di adattamento al nuovo ambiente, stingendo amicizie con un gruppo di ragazzi che abitavano nella stessa area urbana. Fu un’altra evoluzione positiva per la sua vita, grazie anche alla disposizione inclusiva dell’ambiente esterno che lo proteggeva e lo stimolava e alla sua capacità di farsi benvolere.
Successivamente mamma Maria si trasferì a Gorizia per raggiungere la famiglia di Carmelina e per Ruggero fu una nuova ed ulteriore evoluzione. Pur se la sua coordinazione motoria era problematica, spesso il nipote Carlo Alberto lo portava con sé e lo faceva partecipare alle partitelle di pallone con gli amichetti nel prato dietro casa e lì Ruggero, con il suo solito colpo di punta, qualche rigorino lo aveva anche segnato.
Gli anni ’70 furono quelli di maggiore autonomia per Ruggero. Usciva ogni giorno da solo ad acquistare il giornale e il pane. La mattina domenica andava a messa e nel pomeriggio andava -  da solo – al cinematografo di Stella Mattutina. Talvolta era necessario andare a riprenderlo perché era capace di fermarsi a guardare 2 o anche 3 proiezioni in sequenza.
Dopo il matrimonio del nipote Carlo Alberto, mamma Maria con Ruggero si riunirono sotto lo stesso tetto assieme a Carmelina e Renato.
La scomparsa della madre, avvenuta nel 1985, lo turbò, ma le cure genitoriali della sorella e del cognato lo ristabilirono.
 
Il “principe” d’America
Nel 1986 e nel 1992, sempre insieme a Carmelina e Renato, fece anche l’esperienza della trasvolata atlantica per riabbracciare i fratelli che si erano trasferiti a Denver.
Di quelle vacanze americane amava menzionare diversi episodi da cui emergeva la grande attenzione e il grande rispetto che tutti, anche gli sconosciuti, gli riservavano. “Gli americani mi facevano come un principe…” – ricordava con orgoglio.
Negli ultimi anni Novanta la salute di Ruggero diveniva sempre più precaria e fu allora che iniziò il processo che, nonostante l’ostinazione delle cure cui veniva sottoposto, lo avrebbe portato gradualmente alla cecità.
La fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila riservò alla famiglia un periodo davvero difficile e infelice, causato dalla incurabile malattia portò Renato alla morte, avvenuta nel maggio del 2001.
Convivendo con il suo dolore, Carmelina continuò ad assistere Ruggero ed anzi, quell’impegno costante la teneva viva, la sorreggeva e ne alimentava le forze che, con l’avanzare dell’età, si assottigliavano.
Anche se le capacità motorie di Ruggero degradavano progressivamente, egli conservava la sua capacità di interagire con l’ambiente. Non potendo più leggere le sue riviste sportive o guardare le partite di calcio in tv, seguiva le cronache sportive e ascoltava le notizie alla radio e continuava a recitare le sue preghiere quotidiane che erano dedicate a tutti i suoi cari.
Nella notte del 20 dicembre 2013 lasciò Carmelina, la sua sorella-madre che, assieme al marito Renato, le aveva dedicato la vita.
 
Riposa nel cimitero centrale di Gorizia, sempre insieme alla "sorella-madre" Carmelina († 2018) e al "cognato-padre" Renato.
 
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