L’infanzia e l’adolescenza
Nato a Milano il 14 dicembre 1924, Renato Villa era il primo e unico figlio di Marino e di Virginia Pozzoli.
La famiglia di origini modeste, rappresentava quel modello di classe operaia della seconda rivoluzione industriale che attraeva la manodopera dalla campagna per integrarla nelle proprie attività.
Papà Marino era un operario meccanico e si era specializzato come attrezzista tornitore in una azienda attiva nella produzione di valvole e flange per forniture industriali.
Mamma Virginia, era impiegata come operatrice presso l’Istituto Sieroterapico Milanese, uno dei primi istituti di ricerca medica sui vaccini in Europa e, a inizio secolo, il primo produttore di vaccini in Italia (in particolare di siero antidifterico).
A causa dell’impegno dei genitori, il piccolo Renato era assistito nella crescita dalla nonna che lo accudiva durante il giorno.
A Milano Renato frequentò le scuole elementari e quelle professionali e, in seguito, si iscrisse ad un corso di disegno tecnico industriale che gli permise di essere assunto con la qualifica di impiegato tecnico presso l’azienda nella quale papà lavorava Marino.
Allora Renato aveva già maturato uno dei lati caratteriali che lo accompagnarono in tutta la sua vita: il rispetto per le regole. Era emblematico un episodio che a volte ricordava e che, per così dire, evitò una sorta di “conflitto di interessi familiari”. Allora, come tutti gli impiegati tecnici, era investito dalla responsabilità di vigilare sul corretto comportamento degli operai, e, mentre si limitava a redarguire quelli che ignoravano il divieto di fumo, quando colse papà Marino con la sigaretta accesa, non esitò a multarlo e a segnalarlo alla direzione.
La guerra, il servizio militare e l’arruolamento in polizia
Durante la seconda guerra mondiale Milano fu la città dell'Italia settentrionale che subì i maggiori bombardamenti da parte degli alleati. Proprio in quel periodo Renato era stato chiamato al servizio militare. Fu dapprima impegnato all’aeroporto di Taliedo nel 16° Battaglione avieri, poi fu trasferito a Bresso ed infine a Porto Valtravaglia, dove si trovava il 9 settembre del ’43.
I bombardamenti della guerra avevano distrutto l’azienda presso la quale era stato impiegato e ciò lo condusse a prendere la decisione di arruolarsi nella pubblica sicurezza. Dal marzo del ’46 fu a Roma per frequentare la scuola tecnica e nell’aprile del ’47 fu assegnato alla caserma Sasso di Vicenza.
Fu proprio nel capoluogo veneto che conobbe Carmela Gentile, una giovane profuga istriana che, a seguito dell’esodo da Fiume, si era trasferita con la numerosa famiglia nell’attiguo campo profughi dell’ex collegio Cordellina.
Fu amore a prima vista e fu l’amore della vita. I tempi erano difficili, la vita da profughi e l’incertezza per il futuro spinse la famiglia Gentile ad emigrare per gli Stati Uniti d’America. Nel frattempo il legame di Renato con Carmelina si era consolidato ed egli aveva conquistato la fiducia e l’affetto della famiglia Gentile.
Allora Renato, a causa delle regole vigenti, era troppo giovane per poter contrarre matrimonio e, come graduato di polizia, avrebbe potuto ottenere il permesso soltanto nel 1954. Carmelina decise di non seguire i suoi genitori e si fermò a Vicenza in attesa delle desiderate nozze e, nel frattemo si prese cura di un suo fratello minore, Ruggero, che, a causa di un handicap psicofisico non poté ottenere il visto per l’emigrazione.
Così Renato e Carmelina, prima ancora di potersi sposare e dare il via alla loro vita familiare, si ritrovarono a vivere, di fatto, una sorta di responsabilità genitoriale nei confronti del giovane Ruggero.
Poco dopo il fidanzamento Renato fu trasferito a Bergamo e in seguito, per un periodo di alcuni mesi, fu inviato prima a Catanzaro e, in seguito, a Roma.
In questo suo “peregrinare” faceva il possibile per mantenere i rapporti con i genitori e con l’ambiente familiare di provenienza e intratteneva una fitta corrispondenza con la fidanzata Carmelina.
Dal lungo fidanzamento al matrimonio con Carmelina
Nel gennaio del 1954, quasi contemporaneamente al nulla osta per il matrimonio, Renato ricevette la comunicazione del suo trasferimento a Tarvisio.
Così, il 31 marzo 1954, a Vicenza, Renato e Carmela poterono finalmente coronare il loro sogno d’amore e, subito dopo, si trasferirono a Tarvisio insieme al giovane Ruggero che, ormai, li aveva “adottati” come genitori.
Il periodo passato a Tarvisio dal 1954 al 1960, se da una parte ha riservato delle grandi difficoltà dovute principalmente alla rigidità del clima invernale, è stato tra i più felici della vita di Carmelina e Renato. Fu proprio Tarvisio che nell’aprile del 1955 diede i natali a Carlo Alberto, il loro unico figlio.
A Tarvisio e dintorni Renato, nei periodi di libertà dal lavoro, poté dedicarsi con piacere alla pesca sportiva, la sua passione acquisita da ragazzo sul lontano Ticino e che cercò – senza grande successo – di trasmettere al figlio. Renato raccontava che, talvolta, il figlio Carluccio lo “obbligava” a rimettere nel fiume i pesci ancora vivi, perché si preoccupava che i loro “figliolini sarebbero rimasti senza mamma”.
Lavorava con impegno e responsabilità presso il valico ferroviario della stazione centrale e possedeva un eloquio fluente ed una capacità redazionale che lo impegnavano spesso in incontri e riunioni di rappresentanza e studio che si tenevano anche lontano da Tarvisio.
Negli anni di Tarvisio, Renato si adoperò anche con costanza e impegno all’educazione del cognato Ruggero, a cui, tra l’altro, riuscì a insegnare la lettura e la scrittura.
Il 1960 fu un anno triste e di cambiamenti. A febbraio, improvvisamente, venne a mancare mamma Virginia. Per Renato, il dolore causato dalla perdita della ancora giovane madre era acuito dalla distanza con Milano e la sua terra di origine.
A fine anno Renato ottenne il trasferimento a Gorizia che aveva chiesto allo scopo di offrire al piccolo Carlo Alberto, prossimo ad iniziare il suo percorso scolastico, un ambiente sociale più ricco di opzioni e di opportunità per il suo futuro.
Gli anni di Gorizia
Gli anni di Gorizia, videro la crescita del figlio Carlo Alberto, sul quale Renato riversò gran parte delle sue energie alla sua crescita e alla sua educazione e, come spesso nella famiglie di modeste origini, puntava ad una legittima elevazione personale e sociale dei figli.
Poco dopo il suo arrivo a Gorizia venne raggiunto dalla notizia del decesso di papà Marino, da tempo ricoverato a Senago e, ancora una volta per Renato, il suo dolore era acuito dalla distanza dai luoghi delle sue radici.
La sua specializzazione nella polizia di frontiera lo portò ad essere impegnato con responsabilità direttive presso il valico di Casa Rossa. Sia pure con la diffidenza di taluni sui superiori, aveva anche stabilito dei rapporti di rispetto e di collaborazione anche con il personale della polizia d’oltre confine. Del resto, incurante delle critiche e delle disapprovazioni di parte dell’ambiente, già negli anni Ottanta non esitava ad esternare il suo sogno per un “confine senza confine”, anticipando, nella sua mente visionaria, quell’Europa Unita e quella caduta delle barriere che avvenne il 1° maggio del 2004 e che non poté vivere e sperimentare a causa della sua prematura scomparsa.
E rimangono ancora nella memoria le sue parole, quando diceva che “
verrà il giorno in cui le persone capiranno che i confini non sono degli ostacoli o delle barriere che dividono i popoli, ma sono dei punti di incontro speciali, dove tutti possono migliorarsi... dei luoghi speciali dove si imparano sempre cose nuove”.
Il congedo, la pensione e la soddisfazione dei grandi e piccoli sogni
Renato si congedò anticipatamente dal servizio, forse anche perché deluso – come raccontava - per una certa superficialità e confusa improvvisazione che taluni superiori avevano iniziato a diffondere nell’ambiente di lavoro e che spesso lo costringevano a doversi piegare all’ “ubi maior minor cessat…”. Ed era in questi contesti che Renato, a volte, viveva una sorta di impotente umiliazione nel percepire, da parte dei superiori, un uso soggettivo e personalizzato delle “regole”.
In quello stesso periodo Renato e Carmelina si riunirono sotto lo stesso tetto assieme alla suocera Maria e al “cognato-figlio” Ruggero.
Ma Renato non solo poté dedicarsi pienamente alla famiglia, ma anche a soddisfare quei piccoli, o per lui grandi, sogni, come quello di viaggiare.
Dopo la morte di mamma Maria, avvenuta nel 1985, Carmelina e Renato continuarono a prendersi cura di Ruggero e, sempre insieme, poterono finalmente prendersi dei momenti di svago e di vacanza. Nel 1986 e nel 1992 volarono a Denver per riabbracciare i cognati e le loro famiglie.
Fu un periodo felice e sereno, dove emergeva sempre più la forza espansiva del carattere di Renato che dispensava la sua bonaria ironia ad amici e conoscenti.
E fu proprio la sua ironia che, quando alla fine degli anni ’90 gli fu diagnosticato quel male incurabile probabilmente provocato dall’insano di mix di sigarette e di gas di scarico degli automezzi inalato per lunghi anni al valico di Casa Rossa, lo sostenne ed anzi, portò lui stesso, a consolare la sua amata Carmelina.
Esattamente tre anni prima che si potesse concretizzare il suo sogno del “confine aperto”, si spense a Gorizia il 4 maggio del 2001.
Riposa nel cimitero centrale di Gorizia assieme alla moglie Carmela († 2018) e al “cognato-figlio” Ruggero († 2013).